La cosa più strana che ho notato mentre camminavo per le strade di Poggioreale è stato il movimento incessante della lancetta dei secondi del mio orologio perché mi ero appena illusa che la sospensione del tempo che attanaglia quei ruderi avesse in qualche modo permeato anche me e che, terminata la visita, uscendo da quel reticolo di strade disastrate, il mio corpo non sarebbe invecchiato, almeno per quei settanta minuti. E invece no, il tempo ha continuato ad accumulare detriti di spavento e dolore sopra e attorno a chi quel giorno c'era e non ha più proseguito il sentiero che stava percorrendo, perché il sentiero si è spostato in un'altra dimensione di vita, di ricordo, di testimonianza terrena, ultraterrena ma pur sempre figlia della terra, che a volte ci sostiene e altre ci sommerge, ci culla e ci scuote, come una mamma che un giorno ci da uno schiaffo forte che non ci aspettavamo e sentiamo di non meritare ma che comunque lascia il segno per sempre.
Si potrebbe anche discutere sulla tecnica costruttiva degli edifici, sulla relatività della scala Mercalli, sulle ere geologiche di burocrazia che hanno soffocato la voglia/desiderio/necessità di rianimare il futuro ormai passato di questo territorio ma sono discorsi che non riescono ad essere pronunciati in quel silenzio.