Altra tappa imprescindibile è il Museo Goya situato in un bel palazzo cinquecentesco, oggi completamente ristrutturato, a meno di cento metri dalla piazza di Nostra Signora del Pilar.
Saragozza considera Goya, vissuto dal 1746 al 1828, un suo concittadino anche se, in realtà, il suo luogo di nascita è Fuentetodos, un comune ad una ventina di chilometri di distanza. Tuttavia è a Saragozza che il giovane Goya si trasferì ben presto nel 1771, qui realizzò le sue prime opere, incisioni, tele (qui se ne conservano molte), nonché, come ho già ricordato, la decorazione di una cappella nella grande chiesa di Santa Maria del Pilar.
Peraltro Goya restò legato alla sua terra natale, all’Aragona e a Saragozza in particolare, anche se i suoi viaggi e la sua fama lo allontanarono ben presto da questo territorio.
Il Museo Goya ha tre piani che si sviluppano intorno ad un patio quadrato (ingresso 6 euro, ridotto 3). Al pianterreno, nella prima sala un istruttivo e sintetico filmato illustra l’epoca nella quale Goya è vissuto e i principali personaggi suoi contemporanei.
Spicca un quadro di Goya, il “Ritratto di Ferdinando VII”, al quale è dedicata una esposizione temporanea relativa al viaggio che questi fece da Valencay, in Francia, dove era tenuto prigioniero dal 1808, fino a Madrid, per essere reinsediato come re di Spagna. Il viaggio avvenne nel 1814 e il re, modificando gli accordi presi con Napoleone, cambiò notevolmente il suo percorso passando per Saragozza, città che si era distinta nell’opposizione alle truppe francesi.
Sono qui esposte le decine di stampe prodotte dall’artista contro l’invasione francese. Alcuni ritratti di personaggi, nonché molte vedute relative alle distruzioni subite dalla città di Saragozza durante la guerra e ai danni subiti dalla popolazione civile.
Al primo piano sono i predecessori di Goya. Sono esposte opere del ‘400, dal gotico al trionfo del rinascimento. Interessante è una tavola del 1580 raffigurante il Calvario, con l’offerente dipinto ai piedi della croce. Tra le tante opere meritano la citazione: una “Sacra Famiglia” fiamminga, un “Euclide” di Josè de Ribeira (copia dell’autore); un “Cristo crocifisso” della scuola di Zurbaran, alcuni reliquiari in legno dipinto, un ritratto della scuola di Rembrandt, una serie di stampe di Parra e alcune tele del Barocco aragonese.
Il secondo piano è tutto dedicato a Goya, in un’ala il grafico, nell’altra il pittore.
Tantissime le stampe, le acqueforti, le litografie esposte. Alcune legate alla sua presenza a Saragozza. E poi ci sono tutte le tradizionali tematiche di Goya: i tori, la tauromachia (la corrida), i disastri della guerra di occupazione francese. Poi ci sono i “Capricci”, di tema ironico, satirico e sarcastico, tesi a criticare usi e costumi dei suoi contemporanei (in particolare furono proprio queste ultime opere a dare fama al giovane Goya).
Nella quadreria molte opere sono a sfondo religioso. Numerosi sono anche i ritratti, fra questi primeggia il “Ritratto della regina Maria Luisa di Parma” (attualmente è esposta una copia); e il “Ritratto del Re Carlo IV”, opere che già lo proiettano quale artista di corte.
Ci sono anche quadri di tema epico; alcuni bozzetti preparatori per affreschi e studi di corpi; un sofferente Sant’Agostino in abiti vescovili e un grande “Cristo crocifisso in agonia” (copia di un originale del 1780). Ma soprattutto un “Autoritratto” del 1775, a quasi trent’anni dalla forte ed intensa espressività che sta tutta, a mio parere, nella parziale e voluta velatura dei tratti somatici.
Il terzo piano è dedicato agli “eredi” di Goya, con una serie di opere di artisti del XIX e XX secolo, soprattutto in terra di Aragona.
Interessanti le opere di Pradilla e di Barbasan. E, ancor più recenti, i lavori Palencia, di Gargano e di Condoy al quale ultimo si deve una serie di affascinanti statuette.
Una nota non secondaria è relativa all’uso di impianti a risparmio energetico presenti nel museo. Non solo l’illuminazione è condizionata dalla presenza del pubblico, ma i singoli riquadri esplicativi delle opere, nella sezione dedicata alle stampe, si illuminano solo quando il visitatore si pone davanti all’opera stessa.