Un bel locale, che si presenta con uno stile da cottage del grande nord. Legno grezzo, pavimenti in cemento, vecchi infissi scrostati, tavoli minimalisti ma caldi. La cucina è a vista, anch'essa minima, è la crew giovane e spigliata.
I piatti sono scodelle, che si sposano bene con il decoro semplice e un po' monacale. La formula è furba: si ordina un menù da tre portate (per un prezzo sui quaranta euro, bevande escluse) e in realtà ne arrivano cinque, con un paio di intermezzi della cucina.
Furba perché alla fine la scelgono quasi tutti e quindi dalla cucina escono in serie i piatti di un menù fisso, quasi fosse un matrimonio. Una bella economia di scala, che però nasconde il fatto che le portate - benché curate e originali - propongono ingredienti piuttosto "basic". Nel nostro caso il piatto principale era una coscia di galletto che, per quanto nobilitata con vari espedienti, restava pur sempre una coscia di galletto.
Da notare che non tutti possono gradire la scelta forzata degli intermezzi "omaggio", non propriamente appropriati al resto del menù. Anche qui parlo per esperienza: dopo un antipasto delicato di pesce e verdure fresche è inopitamente arrivata una salsiccia come passaggio-omaggio.
Obiettivamente poco azzeccata e quasi una scusa per compensare un menù composto da portate "povere".
Anche il dessert (un gelato alla camomilla) non è parso granché.
Insomma, un'esperienza divisa tra vista (appagata) e gusto (perplesso). Ma forse siamo capitati in una serata dalla tendenza calante...